martedì 30 luglio 2013

Aforismi 1

Chi non ha senso della realtà si metterà, prima o poi, a fare spettacoli.

lunedì 29 luglio 2013

PROUSTIANA (5)

da All'ombra delle fanciulle in fiore (Intorno a Madame Swann), ed. I Meridiani Mondadori, vol.1 pp.640-642


E non solo non ci si impradonisce subito delle opere davvero rare, ma all'interno di ciascuna di esse, ed è quanto mi accadde con la sonata di Vinteuil, le parti che si colgono per prime sono proprio le meno pregiate. [...]

Non avendo potuto amare che in tempi successivi tutto ciò che la Sonata mi offriva, non la possedetti mai per intero: somigliava alla vita. Ma, meno deludenti di questa, i grandi capolavori non cominciano mai col darci il meglio di sé. Nella Sonata di Vinteuil, le bellezze che si scoprono per prime sono anche quelle di cui ci si stanca pù in fretta, e indubbiamente per la stessa ragione, cioè perché sono quelle che meno differiscono da quanto già conoscevamo. [...]

[...] lei che per il solo potere della sua bellezza era divenuta invisibile e rimasta ignota viene per ultima a noi. Ma sarà anche l'ultima che noi lasceremo. E l'ameremo più a lungo delle altre, perché ci sarà voluto più tempo per amarla. [...]

Quella che noi chiamiamo posterità, è la posterità dell'opera.

domenica 28 luglio 2013

martedì 23 luglio 2013

Tu, educato


Tu, educato a una sterminata lettura e scrittura in prosa, non puoi più pensare come Omero o Pindaro, la tua anima "logica" non può più abitare la verità e il mondo di quelle anime. Puoi solo stare nella tua particolarità, che è la parzialità stessa della tua prosa universale. Che però tu scambi superstiziosamente per la registrazione "neutrale" della realtà in sé e per sé.
[...]
non è che nella cultura orale gli individui non avessero mezzi sufficienti per fissare le loro idee originali e quindi se ne astenessero. Propriamente non c'erano individui, né mezzi, né idee. Altrimenti era fatta e si svolgeva la pratica della loro tradizione, e il desiderio di essere "originali" era l'ultima cosa che potessero concepire e approvare. In quella tradizione l'uomo non è un soggetto nel nostro senso, il linguaggio non è un mezzo e la verità non è un'invenzione o una proprietà del dire umano. In quella tradizione parlano, pensano e "producono" solo gli Dei. E se noi non ci crediamo e pensiamo che questa sia una loro superstizione, questo è appunto il limite inevitabile del nostro pensiero e la nostra superstizione.
[...]
Come se dicessimo: come si stava bene quando c'erano gli Dei. Ma quando c'erano gli Dei non c'eravamo noi, così come non c'era l'adulto nel mondo del bambino che fantastichiamo di rimpiangere.

da Carlo Sini, Etica della scrittura, Mimesis (pp. 45-6-7)

lunedì 22 luglio 2013

La vita oscena del signor A.C.

Io, che ho letto La vita oscena, a me è sempre interessato molto quello che scrive Antonio Centanin (A.C.). Anche quando dice che io non ero io, e che allora si firma Antonello Satta Centanin, o anche per esempio Aldo Nove, che è un nome semplice che nasce da un calcolo matematico che io non lo sapevo, questo, ma la si trova facilmente su Google, la spiegazione, è particolare. E mi sono interessato sempre al signor A.C. per tanti motivi che adesso li elenco e che sono:
  1. che è di Viggiù (provincia di Varese, come me), dove che, c’è un bel museo, anzi una gipsoteca che io ho visitato, e nei paraggi di dove cercò di salvarsi in Svizzera la signora Liliana Segre, che io ammiro moltissimo per quello che ha sofferto e perché mi ha fatto capire com’è importante essere papà di due bambine;
  2. che ha scritto tanti bei libri di poesia e, come diceva un mio amico che non vedo da tanto, che Musica per streghe, per esempio, è fantastico sul serio (ma la mia preferita è una poesia dove che si parla di voler essere cavalieri e non portatori di borse della spesa, quella è fantastica: ma non ricordo il titolo) ;
  3. che un giorno quando ero giovane, io, avevo mandato delle poesie non ricordo quali al mensile Poesia (si trova anche in edicola, ha grande tiratura) e lui mi aveva telefonato per dirmi che gli piacevano; io non sapevo che era Aldo Nove la stessa persona di Antonello Satta Centanin, ma quel complimento mi fece davvero piacere.
Seguo A.C. da tanto e sono un suo lettore abbastanza affezionato, e so che questo mi impedisce di essere oggettivo e freddo nel giudizio, ma dico che ad anni quaranta di età e segno del toro, posso permettermi di scrivere anche così, imitando la sua scrittura di quel libro edito da Castelvecchi tanto tempo fa, lui non si arrabbierà, e farmi trasportare dalle emozioni, che lo aveva già detto Zucchero nella canzone Con le mani, anche perché La vita oscena è un romanzo autobiografico, è vero.
Perciò ci tengo a dire che La vita oscena è secondo me davvero toccante (lo so non è una categoria dei critici, ma io non lo sono, infatti, quindi). Comincia con una fine, perché la prima frase è che il padre di A.C. morì all’improvviso, e poi dopo morì anche la madre, e il figlio divenne alcolizzato, e poi incendiò accidentalmente la casa (mia moglie, 37 anni, psicologa, dice potrebbe essere un atto mancato come quelli che fa Zeno nel famoso romanzo, ma io le dico mi fa paura la psicoanalisi non voglio finire come Gregory Peck in quel film), e poi diventò dipendente dalla pornografia e dalla cocaina come forme di autodistruzione, ma poi alla fine c’è un incredibile inizio, pieno di inaspettato ossigeno, di elettricità, pieno di animo generoso, che secondo me è la qualità che deve avere uno scrittore (cioè: la generosità). La vita oscena è un libro che parla soprattutto del male e di come esso accompagna la vita e la morte, infatti A.C. a lui gli viene in mente quel verso del poeta Giuseppe Ungaretti che la morte si sconta vivendo. È un male privato, di lui come persona, un fuoco che lo brucia in una terribile solitudine. Infatti non c’è coralità (parola che ho trovato sul dizionario Treccani): lo dice che le cose accadono nell’indifferenza di tutti, e questo secondo me lo avvicina molto a Gesù Cristo, e anche a Maria, che in effetti lui ne fa un ritratto fantastico in un libro di poesia che si intitola come lei (ma io non voglio cristianizzare A.C. per forza, come facevano certi professori in Cattolica che vedevano convertiti ovunque). Lui è talmente solo che non è nemmeno con sé, perché dice che io non ero io.
Io, se per esempio Covers per me è stata una parentesi infelice, invece gli altri libri puntano dritto a quest’ultimo, perché A.C. mette sempre in relazione la sua vicenda con quella dell’universo che gira intorno per uscire da questa solitudine, forse, lo si capisce bene in A schemi di costellazioni, per esempio. E anche perché La vita oscena è il libro che riesce a mischiare benissimo lo stile del narratore con quello del poeta, una cosa che gli era riuscita a tratti solo nella Più grande balena morta della Lombardia (mio fratello Paolo se la ricorda anche lui, nel piazzale del traghetto di Laveno sarà la stessa?). Adesso non so quali strade prenderà A.C. perché mi sembra che come per l’Inter del triplete sia finito un ciclo, tanto per dire. Secondo il mio parere, io dico che cambierà completamente registro stilistico. Ma magari forse mi sbaglio chi lo sa. Io aspetto il suo nuovo libro, comunque. Tanta vita, caro scrittore A.C.! 

domenica 21 luglio 2013

Nuove dal 'Mondo'


Uno fra i  vantaggi di starsene per una decina di giorni all'estero? Non doversi sorbire le querimonie e le gazzarrucce nostrane sui quotidiani. Durante questo mio soggiorno bavarese una delle belle fortune che ti capitano è la sera, pur stracco e cottissimo per il girovagare diurno fra residenze e castelli, lasciti mostruosamente potenti di quel pazzo fanciullesco di Ludwig e amenità di birrerie storiche fra laghi e giardini monacensi, è quello di stravaccarsi a leggere un po' di quotidiani internazionali nella hall. Dalla Frankfurter alla Suddeutsche Zeitung, per quel poco di tedesco di cui dispongo, apprendi le difficoltà economiche e le corruttele del patron del Bayern f.c. (sono a digiuno totale di calcio, perdonerete), lo sguardo sbieco sull'Italia degli odiatori di orango; le vicende del povero Trayvon te le dettaglia con dati e statistiche formidabili sia il Time sia il Financial Times (che tra parentesi ha un inserto culturale simile a quello del Sole 24 ore; chi avrà copiato chi?). Ma soprattutto ritrovi il piacere di goderti quel gran quotidiano che è Le Monde, il più bello secondo me in assoluto fra quelli che ti capitano di leggere: per i suoi inserti culturali, ma soprattutto per quello sguardo sul mondo che nessuna gazzetta italiota potrà mai avere; inizia infatti prima con focus specifici sull'estero poi passa alle cronache di Francia. Ve ne seleziono due di novelle, che ti fanno pensare. Almeno a me sì.

Prima novella 

Quattro belle paginate, interviste e via scrivendo, su una pandemonio scoppiato all'interno del mondo teatrale. La ministra della cultura - non ricordo il nome -  ha avanzato una proposta traumatica: si sa che in Francia il sostegno pubblico al teatro è un fiorellone all'occhiello di ciascun governo e di tutta la tradizione statuale d'oltralpe, ma un problema comune col nostro è l'incancrenirsi del culo sulla poltrona da parte dei direttori degli stabili (lì chiamati Centri Drammaturgici Nazionali). La proposta è: massimo tre mandati, in casi speciali quattro, poi via. Alcuni registi applaudono, altri sostengono che il governo non deve manovrare simili decisioni, perché significherebbe spostare d'ufficio qualcuno che sta lavorando bene, perdere potenzialità e risorse. Altri sostengono la pratica dell'affiancamento, inaugurata del direttore dello stabile di Nizza: il vecchio si mette vicino un giovincello (attore o regista) per farsi gradualmente sostituire; per alcuni un modo elegante per rimanere al proprio posto senza troppo strepito. Comunque se ne parla: e in Italia che succederebbe?
Seconda novella


Il genere letterario dell'autofiction dilaga da almeno un decennio. Non lo conosco se non per annusate compulsive in qualche libreria; poco mi entusiasma per il suo essere una derivazione ombelicale dell'autobiografia senza monumentalità, nello speciale di Le Monde definito proprio un'autobiografia perenne. Ma la moda può anche produrre buoni risultati, certo. Quello che non pensavo è che il conio di tale termine fosse datato 1977: lo scrittore Serge Doubrovsky nello scrivere la quarta del suo romanzo "Figli", fortemente autobiografico e sperimentale, lo coniò senza sapere di aver pioneristicamente nominato un genere letterario oggi dilagante. Negli anni '80 il romanzo passò sotto silenzio; poi quella parolina magica cominciò a permeare di sé il tessuto letterario dalla metà degli anni novanta e diluvia oggi dal primo decennio del nuovo secolo. Gli autofictionari spesseggiano in Francia, Italia, Germania, Olanda,  Spagna, Americhe e - udite udite - Antille, Africa e Iran compresi. Poco male; anche il romanticismo infettò dalla Germania (e in misura diversa dall'Inghilterra) l'allora orbe conosciuto. In Francia però genera pure carta bollata: l'editore Flammarion e un suo autore hanno dovuto sborsare 40.000 euro a una ex perché si è vista riconosciuta in uno dei personaggi e l'editore Laffont ha pagato 10.000 al figlio di un suo autore citato nel libro come alcolista e cocainomane. E se succedesse pure in Italia?


 

domenica 14 luglio 2013

Sia avvertito e timido piú presto che audace

[Il cortigiano] voglio che nelle lettre sia piú che mediocremente erudito, almeno in questi studi che chiamano d'umanità; e non solamente della lingua latina, ma ancor della greca abbia cognizione, per le molte e varie cose che in quella divinamente scritte sono. Sia versato nei poeti e non meno negli oratori ed istorici ed ancor esercitato nel scriver versi e prosa, massimamente in questa nostra lingua vulgare; che, oltre al contento che egli stesso pigliarà, per questo mezzo non gli mancheran mai piacevoli intertenimenti con donne, le quali per ordinario amano tali cose. E se, o per altre facende o per poco studio, non giungerà a tal perfezione che i suoi scritti siano degni di molta laude, sia cauto in supprimergli per non far ridere altrui di sé, e solamente i mostri ad amico di chi fidar si possa; perché almeno in tanto li giovaranno, che per quella esercitazion saprà giudicar le cose altrui; che invero rare volte interviene che chi non è assueto a scrivere, per erudito che egli sia, possa mai conoscer perfettamente le fatiche ed industrie de' scrittori, né gustar la dolcezza ed eccellenzia de' stili, e quelle intrinseche avvertenzie che spesso si trovano negli antichi. Ed oltre a ciò, farannolo questi studi copioso e, come rispose Aristippo a quel tiranno, ardito in parlar sicuramente con ognuno. Voglio ben però che 'l nostro cortegiano fisso si tenga nell'animo un precetto: cioè che in questo ed in ogni altra cosa sia sempre avvertito e timido piú presto che audace, e guardi di non persuadersi falsamente di saper quello che non sa: perché da natura tutti siamo avidi troppo piú che non si devria di laude, e piú amano le orecchie nostre la melodia delle parole che ci laudano, che qualunque altro soavissimo canto o suono; e però spesso, come voci di sirene, sono causa di sommergere chi a tal fallace armonia bene non se le ottura. Conoscendo questo pericolo, si è ritrovato tra gli antichi sapienti chi ha scritto libri, in qual modo possa l'omo conoscere il vero amico dall'adulatore. Ma questo che giova, se molti, anzi infiniti son quelli che manifestamente comprendono esser adulati, e pur amano chi gli adula ed hanno in odio chi dice lor il vero? e spesso, parendogli che chi lauda sia troppo parco in dire, essi medesimi lo aiutano e di se stessi dicono tali cose, che lo impudentissimo adulator se ne vergogna? Lasciamo questi ciechi nel lor errore e facciamo che 'l nostro cortegiano sia di cosí bon giudicio, che non si lasci dar ad intendere il nero per lo bianco, né presuma di sé, se non quanto ben chiaramente conosce esser vero.

Baldassarre Castiglione, Libro del cortegiano, I, XLIV

sabato 13 luglio 2013

E settimane enigmistiche


Voi cosa pensate dell'enigmistica?
Personalmente, non nego di provare una somma libidine nel risolvere (o addirittura nell'ideare: in passato, con un paio di amici ci si è divertiti così) certi indovinelli.
Eppure, nell'enigmistica, c'è qualcosa che mi inquieta. Forse è proprio il fatto stesso di risolvere. L'enigmistica, se si ha la giusta destrezza, offre sempre la soluzione. Una, univoca, incontrovertibile.
E così, quando risolvo un indovinello, dopo il momento di libidine sopravviene la malinconia.

giovedì 4 luglio 2013

PROUSTIANA (4)

da Dalla parte di Swann (Nomi di paesi: il paese), ed. I Meridiani Mondadori, vol.1 pp.478-479


Così, dopo colazione, i miei sguardi ansiosi non si staccavano più dal cielo incerto e nuvoloso. Era sempre cupo. Davanti alla finestra il balcone era grigio. Tutt'a un tratto, sulla sua tetra superficie, pur non scorgendone la presenza, avvertivo come uno sforzo verso un colore meno smorto, il pulsare di un raggio esitante che volesse liberare la propria luce. Un istante dopo, il balcone era pallido e specchiante come un'acqua mattutina, vi si erano posati mille riflessi del ferro battuto della sua ringhiera. Un soffio di vento veniva a disperderli, la superficie di pietra si era di nuovo incupita, ma, quasi fossero addomesticati, ritornavano; la pietra ricominciava impercettibilmente a schiarirsi e con uno di quei crescendo continui che in musica, alla fine di un'ouverture, portano una sola nota fino al fortissimo supremo facendola passare per tutti i gradi intermedi, la vedevo raggiungere l'oro fisso e inalterabile delle giornate serene, sul quale l'ombra frastagliata della balaustra ricca di motivi risaltava in nero come una capricciosa vegetazione, con una delicatezza nel delineare i minimi dettagli che pareva tradire una coscienza applicata, una soddisfazione d'artista, e con un tale rilievo, un tale velluto nell'abband0no delle sue masse scure e gioiose che, in verità, quei riflessi larghi e frondosi posati su quel lago di luce sembravano coscienti d'essere garanzie di calma e felicità.

[continua, ahinoi....]


* C'è l'esercizio del chirurgo nella cura della minuzia; c'è la pratica del bulino nella perifrasi del dettaglio. La capacità per il bambino Marcel nel suo primo infantile innamoramento per il 'nome' Gilberte di ricordare un balcone come palcoscenico di un amore...che si dica: ahi, Proust, certo la trama però...in questa prima pietra dell'eptalogia proustiana, che purtroppo volge al termine, molto sarebbe da controreplicare alla sua capacità di creare le maglie lunghe di un ordito che non si sfilaccia per colpi di scena all'ingrosso, boutade inventive sterili, spesso gratuite.